di Dario Paoletti
La fiducia rappresenta un termometro estremamente sensibile nel misurare la propensione di un paese a guardare al futuro o valutare lo stato d’animo dei singoli cittadini in rapporto alla loro quotidianità e alle loro prospettive.
A questo proposito, l’istituto Edelman ha da poco pubblicato il Trust Barometer 2019, in cui analizza i livelli di fiducia nei principali Stati del mondo per l’anno in corso. L’analisi è stata compiuta dividendo la popolazione intervistata in due macrocategorie: la popolazione generale e il pubblico informato. Sebbene il report fotografi un mondo sostanzialmente “sfiduciato” (la maggior parte dei paesi analizzati sono in stato di sfiducia, quantificato nel valore da 1 a 49), il trend a livello globale appare in leggera crescita, sia per la popolazione generale (che passa da 49 a 52, raggiungendo il livello neutrale) che per il pubblico informato (che accresce il suo grado di fiducia rispetto all’anno precedente di tre punti e rimane in positivo).
Un dato sicuramente interessante è l’ampia forbice che si è creata fra queste due categorie di popolazione: analizzando i dati medi di 23 stati, la differenza fra il livello di fiducia del pubblico informato rispetto a quello generale è pari a 16 (65 contro 49), uguale a quello del 2017, superiore di ben tre punti rispetto al dato dell’anno appena passato e addirittura di sette se lo si confronta con il 2012, l’anno in cui questa disparità è stata in assoluto minore nei tempi più recenti.

La differenza è quindi molto marcata e assume una rilevanza ancora maggiore se si nota che questa divergenza nel grado di fiducia arriva in doppia cifra (10+) in ben due terzi dei paesi analizzati (18 su 27).
In controtendenza la situazione nel nostro Paese. Pur confermando uno stato di sfiducia generale, l’Italia è uno dei paesi in cui il “gap fiduciario” fra pubblico informato e popolazione generale è minore (7), mentre in altri stati europei di primo piano, come la Francia e la Germania, esso assume proporzioni spaventose (ben 18 punti in entrambi) e nel Regno Unito tocca addirittura il record assoluto mai registrato (addirittura 24), indicando dunque in questi casi un (probabile) maggiore (minore?) grado di diseguaglianza rispetto al nostro Paese.
Altri dati, interessanti nella loro apparente paradossalità, meriterebbero riflessioni più approfondite.
La fiducia nel futuro in una prospettiva quinquennale è più bassa nei Paesi più sviluppati (e l’Italia non fa eccezione, con un valore di 34 per la popolazione generale e di 50 per il pubblico informato) rispetto a quelli meno sviluppati o in via di sviluppo (Brasile, l’India, l’Indonesia e soprattutto la Colombia, che mostra un grado di fiducia altissimo e quasi equivalente in tutta la popolazione).
La fiducia nell’ Unione Europea è maggiore nelle grandi economie extraeuropee (soprattutto Cina e India) che in tutta Europa.
Altro dato da attenzionare riguarda la fiducia nel governo: essa rimane a livello negativo (sfiducia) in tutta Europa (mentre gode di grande fiducia nei paesi extraeuropei più autoritari) seppur in crescita rispetto al 2018: in questo contesto di crescita l’Italia spicca con un notevolissimo +16 rispetto all’anno appena trascorso, il dato più alto in assoluto.

Interessante anche lo zoom di Edelman sulla fiducia tra i lavoratori.
Abbiamo paura di perdere il posto di lavoro e le minacce più pericolose sono rappresentate dalle competenze (il 59% degli intervistati crede di non avere abbastanza esperienza, o essere adeguatamente formato, per trovare un lavoro migliore); dalla tecnologia (il 55% teme le evoluzioni tecnologiche, in particolare l’automazione); dalla politica (il 57% teme che l’azienda per cui lavora risenta dei conflitti internazionali sulle politiche e le tariffe commerciali).
Il lavoro, ultimo baluardo identitario (che abbiamo una folle paura di perdere) in una società sempre più liquida: ecco (forse) perché ci fidiamo ancora del nostro datore di lavoro. Il punteggio globale di fiducia è di 75, altissimo, in crescita di due punti rispetto all’anno precedente. Paradossalmente, anche tra le categorie penalizzate la fiducia nel datore di lavoro veleggia a livelli altissimi: il dato è positivo per le donne, per la popolazione definita «non informata» e persino per coloro che si erano detti danneggiati dal sistema. Il datore di lavoro viene visto come una fonte affidabile su molti argomenti, soprattutto quelli su cui non c’è generale accordo.
A lavoro poi, ci si fida di più dei superiori diretti e delle persone “come noi” (ovvero dei colleghi nella nostra stessa posizione), piuttosto che dei Ceo aziendali e dei consigli di amministrazione. Allo stesso modo i lavoratori ripongono scarsa fiducia nell’informazione giornalistica.
Insomma familiarità e vicinanza sembrano ispirare maggior fiducia di potere, esperienza ed autorevolezza.